Giove Tonante, Angelo Gaja.
Gaja è un marchio, Gaja è una persona, Gaja è un personaggio. Il vino viene dopo. Angelo Gaja è un signore che compare su wikipedia in inglese e in tedesco, ma in italiano no. Non si fa voler bene, forse. Annata 1940, annata ruvida, schietta, senza fronzoli. O con lui, o contro di lui. Persona che mi affascina, seppur condivida poco del suo modo di pensare e creare il vino.
Queste brevi righe per introdurvi in una serata incredibile che ho avuto la fortuna di vivere con persone unite dalla mia stessa grande passione: bere meno, bere meglio (certo, di fronte a 9 bottiglie in un colpo solo, andrebbe spiegato meglio questo mio motto ma sarà per un'altra volta). Privilegio sicuro che però, parlandone, rischia di apparire come un mero esercizio narcistico tipico di noi amanti del buon vino. “Ieri ho bevuto un Gaja del ‘77”. “Settimana scorsa ho assaggiato un Yquem del ‘70”. “L’anno scorso ho degustato un Mascarello del ‘66”. E via dicendo. Magari impreziosendo il tutto con particolari lussureggianti e ad alto contenuto hollywoodiano – belle donne, location incredibili, macchine di lusso, spremute d’arancia in bicchieri di cristallo. Un vortice di pavoneggiamenti – immagini pubblicate su tutti i principali social network included – di cui anche il sottoscritto è maestro. Perciò starò attento a non lasciarmi condizionare dal nome, poveri ma liberi.
Detto questo, entriamo nel vivo parlando di una denominazione che porto nel cuore, Barbaresco DOCG, in questo caso espressa da uno dei suoi protagonisti massimi e a cui dobbiamo molto in termini di internazionalizzazione, riscoperta, rilancio e qualità. Azzardo il paragone: un po’ quello che è stato il Sassicaia per la Toscana, così, i vini di Gaja, i suoi Sorì, Tildin e San Lorenzo, lo son stati per la denominazione a base nebbiolo in provincia di Cuneo partorita dal genio di Domizio Cavazza. È un vino che amo, non ho alcun dubbio a riguardo, il primo che realmente mi ha preso per mano; Cascina Luisin, Rizzi, Bruno Giacosa, Teobaldo Rivella, Giuseppe Cortese. Nomi mitici. Per non parlare di Rabajà, Santo Stefano, Montestefano, Gallina....parafrasando il profeta Geremia, oso affermare, sperando di non apparir blasfemo: “mi hai sedotto, e io mi sono lasciato sedurre”. Parole altisonanti per confrontarci su una verticale stupenda in termini di rappresentatività e di completezza del vino e dell’azienda Gaja: Barbaresco 1977, Barbaresco 1986, Barbaresco 1995, Barbaresco 1996, Barbaresco 1997, Barbaresco 1998, Barbaresco 1999, Barbaresco 2000, Barbaresco 2001.
Mi pare giusto, prima della descrizione del vino, lasciar la parola direttamente ad Angelo Gaja, per cogliere le intenzioni che stanno alla base di chi fa questo Barbaresco, per collegare il suo pensiero e le sue idee con il suo modo di produrre. Passaggio a mio avviso imprescindibile, seppure il rischio potrebbe essere quello di far sorgere in noi pregiudizi e prevenzioni. Quello che voglio fare è contestualizzare, insomma.
La crisi del vino italiano? Sui rimedi i suggerimenti si sprecano. Fare più qualità: ma per vino, olio, parmigiano, eccetera, la qualità media non è mai stata così elevata. Più rapporto qualità-prezzo: ma si sono ormai fatti diventare buoni anche i vini offerti al pubblico a due euro a bottiglia. Chilometro Zero: per ora è un palliativo virtuoso. Serve a spronare i contadini a diventare più intraprendenti, a confrontarsi con il mercato ed aiuta i consumatori a capire di più della stagionalità dei prodotti agricoli. Accorciare la filiera: occorre prima che i produttori si uniscano per aggregare l’offerta. Più marketing: sono ancora troppi quelli che si vantano di non fare marketing. Diffidano della parola, le attribuiscono un significato equivoco, di trucco finalizzato alla vendita. No OGM: il divieto va invece rimosso. Piuttosto vanno educati gli agricoltori ad essere più responsabili ed i consumatori a riconoscere e premiarne i prodotti attraverso norme di etichettatura adeguate. Costruire Domanda: in Italia ci pensano già i produttori, il sostegno pubblico va destinato ai mercati esteri. L’Export diventi una ossessione: verissimo, occorre però favorire la crescita imprenditoriale. Proteggere i marchi italiani sui mercati esteri, combattere le falsificazione: si può, si deve fare di più.
A voi suggerimenti, precisazioni, critiche e sottolineature. Se ne avete, ovviamente. A noi il racconto di una serata particolare evitando elenchi e descrizioni che possono risultare ripetitive. Per questa volta mi concedo la libertà di evidenziarvi in un discorso libero quali son state le mie impressioni di fronte a questo Barbaresco di gran classe, eleganza, ma non proprio riconducibile – alla cieca – ad un territorio quale quello di Langa.
Si parte con un "giro di naso" su tutti e 9 le annate. Profumi e sentori intensi, risalta la frutta e la balsamicità nelle annate più giovani, ma ecco che subito cogliamo un netto cambiamento a partire dalla 1996 (inclusa) in giù. Un amico enologo presente, suggerisce la possibilità di un cambio decisivo nella macerazione con un utilizzo più accorto dei vinaccioli nel mosto. Faccio il provocatore: dov'è la Viola così fortemente presente nel nebbiolo? Prevale la vaniglia e la sensazione dolce nelle annate più vicine a noi. Sensazione dolce tipica del legno, non del frutto. 1 anno in barrique, 1 anno in botte grande, 1 anno in bottiglia. Quasi a voler metter d'accordo tutti. Nel breve prevale lo sbilanciamento sulla botte piccola. Col passare del tempo, dal 1999, svanisce, lasciando spazio a un Barbaresco che riconosco più facilmente come tale. L'abbattimento delle rese per ettaro è evidente nella qualità del vino che abbiamo di fronte, profumi intensi e complessi, colori splendidi e compatti. A proposito qualche maligno - o realista? - accenna alla possibile presenza di Barbera, a "correggere" (che brutta parola) le meravigliose tonalità granate e trasparenti tipiche di questo gigantesco vitigno tutto italiano. Andiamo col naso e con gli occhi sui più vecchi: il 1997 è un capolavoro assoluto, è anche il più granato e limpido; il 1996 e il 1995 invece non mi entusiasmano, sentori deboli, confusi, non ben definiti, completamente differenti dai precedenti che insistevano con il balsamico e il fruttato - con un pizzico leggero di viola; il 1986 purtroppo non ce l'ha fatta, sarà la bottiglia: sentori di ossidazione spinti che ad occhi chiusi mi rimandano a una scodella di brodo fatto con il classico dado knorr. Il 1977 invece punta tutto sulla terziarizzazione, cera lacca, molta frutta sotto spirito, tabacco puro, mi torna alla mente uno splendido Cohiba Esplendido vitola Julieta no. 2 fumato poco tempo fa.
Parte l'assaggio. Il 1997 e il 2000 sono quelli più pronti, grande equilibrio in bocca e piena armonia gusto-olfattiva. Lunghi, decisamente. Il 2001 e il 1999 invece si assomigliano perchè scalpitano come matti: acidità e tannino in evidenza, hanno bisogno ancora di tempo. Pazzesco, raramente mi capita di notare, in annate così vicine, una così netta differenza nello stato evolutivo. Il 1998 lo trovo ben fatto, potente, con una grande struttura, con un tannino morbidissimo e un acidità ancora forte a spalleggiare le componenti morbide. Andando indietro con gli anni invece il cambiamento, trovo vini che non hanno più nulla da dire purtroppo, poco decisi, di una persistenza misera in confronto agli altri. Un altro amico lancia la provocazione sul fatto che anche la bottiglia del 1995 non è perfetta, che quell'annata è grande e che siamo di fronte a un'evoluzione zoppa, a un eccesso di micro-ossidazione (unica bottiglia a cui si è rotto il lunghissimo tappo in sughero). Tant'è, che comunque nemmeno il 1996 mi convince in termini di eleganza e potenza. Forse dovrei cercare altro in annate così vecchie, fatto sta che il 1997 mi ha conquistato. Annata straordinaria, bottiglia strepitosa. Quella che più mi ricorda, ad occhi chiusi, il Barbaresco che ho conosciuto. Femminile, di una grazia incredibile, ma è una donna forte, non certo facile, in perfetta armonia tra le sue varie componenti. Lunghissimo vino, profumi freschi e giovani, con un carisma difficile da ritrovare ora nelle altre annate. Sarebbe interessante confrontarlo con altri Barbaresco che custodisco gelosamente in cantina. Sarà per un'altra volta, per ora godiamoci questa mia personale riconciliazione - non totale - con Angelo Gaja e i suoi vini.
Commenti
Posta un commento