Alla Ricerca del Merlot Perfetto
Alla ricerca del Merlot perfetto. Questo il nome della serata di sfida e confronto tra due merlot in purezza del Canton Ticino e due italiani. Giustamente un mio carissimo amico (e bravo sommelier) mi ha subito fatto notare che se avessimo voluto cercare la perfezione, l’indagine avrebbe dovuto spostarsi in Francia, e per la precisione nelle storiche aree vicino Bordeaux. Ma per merlot perfetto, qui, intendevo qualcos’altro, che va spiegato con chiarezza se vogliamo capire il perché di questa splendida serata, in compagnia di una neonata associazione che porta il nome, al plurale, di un verso di Vinicio Capossela, “Vampiri della Vigna”.
Innanzitutto due parole veloci sull’uva del merlo (pare piaccia al pennuto): vitigno a bacca nera originario della zona della Gironda, compagno inseparabile del Cabernet Sauvignon, già rinomato alla fine del 1700, in Italia giunse verso l’ultima metà del 1800, nel Friuli Venezia Giulia, per poi diffondersi velocemente in Veneto e in Trentino Alto Adige. Oggi il Merlot è tra i vitigni alloctoni più diffusi in Italia, ma basti pensare che, come ho letto su un libro abbastanza noioso di storia della vite in Italia, sul finire degli anni ’80, in Toscana (sic!) si contavano solo 6 ha coltivati a merlot. Poi è arrivato il successo internazionale del cosiddetto taglio bordolese all’italiana. Taglio, non uvaggio. Quest’ultimo è un qualcosa che ritroviamo ad esempio nel Chianti, si è sempre fatto nella zona classica, anche la celebre ricetta del Ricasoli lo prevede. Quale la differenza allora? Semplice, il taglio prevede la vinificazione separata delle uve, l’uvaggio no. Il Cabernet, sia Sauvignon che Franc, matura quasi un mese più tardi del Merlot, vitigno precoce e di buccia sottile, fornendo al viticoltore la possibilità di portare in cantina partite di uva in tempi ben distanziati, ed all’enologo quella di modulare al meglio le quantità di vino base per il taglio, ovvero l’assemblaggio, finale. Una fusione talmente ben riuscita, come letto su Intravino, “da aver messo in secondo piano, nei secoli, gli altri due vitigni rossi tipici del Bordeaux: il Malbec, fruttato e di veloce maturazione, ed il Petit Verdot, tannico, robusto e lento a maturare anche di più dei Cabernet Sauvignon e Franc”. E ancora più speziato. In Canton Ticino, invece, il merlot è stato importato dalla Francia a scopo sperimentale all'inizio del 1900, durante il periodo successivo all’avvento distruttrice della fillossera, nell'ambito della ricostituzione del patrimonio viticolo cantonale distrutto appunto dalla fillossera durante gli ultimi anni dell’800. Attualmente il Merlot ricopre circa l'85% della superficie vitata cantonale: nettamente il più coltivato.
Innanzitutto due parole veloci sull’uva del merlo (pare piaccia al pennuto): vitigno a bacca nera originario della zona della Gironda, compagno inseparabile del Cabernet Sauvignon, già rinomato alla fine del 1700, in Italia giunse verso l’ultima metà del 1800, nel Friuli Venezia Giulia, per poi diffondersi velocemente in Veneto e in Trentino Alto Adige. Oggi il Merlot è tra i vitigni alloctoni più diffusi in Italia, ma basti pensare che, come ho letto su un libro abbastanza noioso di storia della vite in Italia, sul finire degli anni ’80, in Toscana (sic!) si contavano solo 6 ha coltivati a merlot. Poi è arrivato il successo internazionale del cosiddetto taglio bordolese all’italiana. Taglio, non uvaggio. Quest’ultimo è un qualcosa che ritroviamo ad esempio nel Chianti, si è sempre fatto nella zona classica, anche la celebre ricetta del Ricasoli lo prevede. Quale la differenza allora? Semplice, il taglio prevede la vinificazione separata delle uve, l’uvaggio no. Il Cabernet, sia Sauvignon che Franc, matura quasi un mese più tardi del Merlot, vitigno precoce e di buccia sottile, fornendo al viticoltore la possibilità di portare in cantina partite di uva in tempi ben distanziati, ed all’enologo quella di modulare al meglio le quantità di vino base per il taglio, ovvero l’assemblaggio, finale. Una fusione talmente ben riuscita, come letto su Intravino, “da aver messo in secondo piano, nei secoli, gli altri due vitigni rossi tipici del Bordeaux: il Malbec, fruttato e di veloce maturazione, ed il Petit Verdot, tannico, robusto e lento a maturare anche di più dei Cabernet Sauvignon e Franc”. E ancora più speziato. In Canton Ticino, invece, il merlot è stato importato dalla Francia a scopo sperimentale all'inizio del 1900, durante il periodo successivo all’avvento distruttrice della fillossera, nell'ambito della ricostituzione del patrimonio viticolo cantonale distrutto appunto dalla fillossera durante gli ultimi anni dell’800. Attualmente il Merlot ricopre circa l'85% della superficie vitata cantonale: nettamente il più coltivato.
Ma quindi, in fin dei conti, perché siamo andati a cercare la perfezione nell’espressione di quest’uva nel Canton Ticino e in Italia sebbene tutto sembra condurci nel sud-ovest francese? Perché, oltre al prezzo nettamente più contenuto, in queste due zone di produzione mi aspetto un merlot che non conosco, nuovo, diverso, non uno scimmiottare delle eccellenze indiscutibili del Pomerol e del Saint-Emilion, ma una diversa interpretazione, che punti sì alla perfezione, ma secondo i binari sui quali la sfida con la Francia può esser realmente vinta: nè numeri e quantità (come le idiozie lette sui giornali sulla sfida spumante italiano vs. champagne) ma territorialità e tipicità spinte. Sfida positiva perché punta non all’imitazione ma alla differenziazione. E per noi amanti del buon bere - meno, meglio e variegato - non sarebbe altro che un ulteriore godimento.
a) Merlot del Ticino, La Trosa 2007 - Cantina Sociale di Mendrisio (17 CHF)Uve Merlot provenienti solo da ceppi vecchi compresi tra i 18 e i 20 anni. 12 mesi in barriques per il 40% nuove e per il 60% di secondo passaggio. Colore scarico, rosso rubino didattico. Buona la consistenza, rivelerà una struttura importante in bocca. Al naso risente di terra bagnata, quasi una puzzetta in stile Groppello. Borgogna? No di certo, siamo nel Mendrisiotto, son le tecniche di cantina dicono alcuni, altri affermano che è una tendenza che si ritrova in molti merlot ticinesi. Barrique in evidenza ma non fastidiosa. Al gusto si rivela semplice, piacevole, accessibile. Ben fatto, morbidoso, caldo. Abbastanza persistente, con un tannino che non si fa notare né per spigolosità né per esuberanza. Ottimo esempio di merlot del Ticino a prezzo abbastanza contenuto.
b) Merlot del Ticino, Sassi Grossi 2005 - Gialdi (85 CHF)
Il Sassi Grossi o “Les Gros Cailloux” è vinificato da Fredy De Martin, uno degli enologi più acclamati in Ticino e forse in Svizzera. Sassi Grossi celebra, l’omonima battaglia combattuta il 28 dicembre 1478 nei pressi di Giornico tra i Confederati e il Ducato di Milano. Raggruppa la selezione di uve provenienti dai migliori vigneti di Biasca e Giornico, vigne date in affidamento a vignaioli che ne accudiscono attentamente e scrupolosamente i filari. Riprendendo in mano il taccuino di degustazione, rileggo anche il perché ho accettato di sottopormi a questa sfida: ricredermi su quel generale senso di diffidenza che ho verso il merlot del Ticino (pur amando e godendo delle bellezze del Cantone e, più in generale, della Confederazione) e uno scarso entusiasmo per il merlot in sé. Ecco, il Sassi Grossi è qui apposta per mettermi in crisi. Mi piace, mi affascina, ma non mi conquista. Gran bel prodotto, un po’ effeminato forse, non gli do l’eccellenza ma si avvicina molto. Io cerco il cuore in un vino, che sappia emozionarmi, rimandarmi a un territorio e alla sua storia, prendermi per mano e condurmi nei meandri delle cantine dove nasce, o nelle vigne dove viene concepito. Siamo su due lunghezze d’onda differenti. Mea culpa, forse. Ah, me ne stavo dimenticando. Anche in questo caso puzzetta. Che strano modo di tipicizzare il merlot.
c) IGT delle Venezie, Sante Rosso 2009 - Azienda Agricola Cecchetto (15€)
Nel vigneto Largoni alle particelle 97-98-125, 14 filari producono le uve Merlot selezione 181. Nasce da qui questo giovanissimo merlot di un rosso rubino favoloso. Compatto, intenso, sembra china ma con riflessi violacei. La raccolta delle uve con lieve surmaturazione in pianta si sente, si vede. La vinificazione con macerazione in tini di rovere per 10 giorni rilascia quel piacevole colore compatto, con i polifenoli e gli antociani perfettamente trasmessi dalla buccia al mosto. Il vino viene affinato in barriques di secondo passaggio per almeno 8 mesi prima di essere imbottigliato. E anche qui, sia al naso che in bocca, si percepisce. Sentori dolciastri dal frutto o dalla botte? In prevalenza forse la vaniglia e il legno, ma ben modellati. Polpa, succo, che Merlot! Qui è decisamente la genialità di Giorgio Cecchetto che riesce a far esprimere al meglio un territorio di per sé povero ma probabilmente estremamente adatto a questa tipologia di vitigno. Il Sante Rosso rilascia quelle caratteristiche che ti aspetti da un merlot. Di gran beva, abbastanza persistente, ritorna in bocca tutta la frutta percepita al naso. Di grande equilibrio, tannino levigato, ottimo lavoro in cantina. Ancora profumi netti di prugna e di ciliegia con delle belle tonalità vegetali di erbe balsamiche. Ma sono soprattutto i fiori a far da padrone nel bouquet aromatico. Sapido al punto giusto. Merlot classico.
d) Toscana IGT, Girolamo 2000 - Castello di Bossi (40€)
Castello di Bossi, con i suoi oltre 120 ettari vitati, si identifica con Marco Bacci e i suoi figli. Versiamo questo Girolamo nel calice, colore potente, rubino fitto, inchiostro, con un’unghia lucente, brillante. Annata 2000, dodici anni dalla vendemmia, non gli passa nemmeno per la testa di virare verso il granato e spegnersi un po’: eccezionale! Naso inizialmente ispido e caratteriale con note cosmetiche, profondo e quasi austero. Poi si allarga su una bella eleganza di frutta nera, frutta di bosco, confettura e liquirizia. Altri sentori di vaniglia e di legno segnano un olfatto netto, elegante, modaiolo. Cremoso in bocca, ma fresco, ben sorretto da una notevole spalla acida. Equilibrato, intenso, persistente, non finisce più in bocca. Interminabile su tannini finissimi. Di ottima beva. Forse un tantino sciropposo, piacione.
Che altro aggiungere amici lettori? I miei pregiudizi son stati scalfiti ma non crollano. Sia per quanto riguarda il Merlot del Ticino, sia per il Merlot in sé. Lo trovo poco affascinante, non banale ma con una marcata tendenza all’omologazione del gusto. Vini da happy hour, da serata in un locale alla moda milanese, vini da tutto e subito, non nel mio stile. Amo farmi torturare da quel vino che ha bisogno di anni prima di regalarsi completamente, di farsi capire, prima di lasciarsi amare. Ci toccherà puntare davvero sul Pomerol o sul Saint-Èmilion allora? A voi l’ardua sentenza.
Ps.: dal pubblico una cara amica mi ha chiesto se il Sassi Grossi posso abbinarlo a una fiorentina. Ecco, anche in questo caso sono in estrema difficoltà. Il mio non è un “sì” immediato, perché il mio “sì, devi abbinarlo con una fiorentina” lo avrete solo con un Chianti Classico, magari un Castell’in Villa Riserva del 2004 bevuto all’Osteria Le Panzanelle di Lucarelli con la vostra fidanzata. Fatelo, non ve ne pentirete.
Nb: la foto di copertina è stata recuperata da "Google Immagini".
b) Merlot del Ticino, Sassi Grossi 2005 - Gialdi (85 CHF)
Il Sassi Grossi o “Les Gros Cailloux” è vinificato da Fredy De Martin, uno degli enologi più acclamati in Ticino e forse in Svizzera. Sassi Grossi celebra, l’omonima battaglia combattuta il 28 dicembre 1478 nei pressi di Giornico tra i Confederati e il Ducato di Milano. Raggruppa la selezione di uve provenienti dai migliori vigneti di Biasca e Giornico, vigne date in affidamento a vignaioli che ne accudiscono attentamente e scrupolosamente i filari. Riprendendo in mano il taccuino di degustazione, rileggo anche il perché ho accettato di sottopormi a questa sfida: ricredermi su quel generale senso di diffidenza che ho verso il merlot del Ticino (pur amando e godendo delle bellezze del Cantone e, più in generale, della Confederazione) e uno scarso entusiasmo per il merlot in sé. Ecco, il Sassi Grossi è qui apposta per mettermi in crisi. Mi piace, mi affascina, ma non mi conquista. Gran bel prodotto, un po’ effeminato forse, non gli do l’eccellenza ma si avvicina molto. Io cerco il cuore in un vino, che sappia emozionarmi, rimandarmi a un territorio e alla sua storia, prendermi per mano e condurmi nei meandri delle cantine dove nasce, o nelle vigne dove viene concepito. Siamo su due lunghezze d’onda differenti. Mea culpa, forse. Ah, me ne stavo dimenticando. Anche in questo caso puzzetta. Che strano modo di tipicizzare il merlot.
c) IGT delle Venezie, Sante Rosso 2009 - Azienda Agricola Cecchetto (15€)
Nel vigneto Largoni alle particelle 97-98-125, 14 filari producono le uve Merlot selezione 181. Nasce da qui questo giovanissimo merlot di un rosso rubino favoloso. Compatto, intenso, sembra china ma con riflessi violacei. La raccolta delle uve con lieve surmaturazione in pianta si sente, si vede. La vinificazione con macerazione in tini di rovere per 10 giorni rilascia quel piacevole colore compatto, con i polifenoli e gli antociani perfettamente trasmessi dalla buccia al mosto. Il vino viene affinato in barriques di secondo passaggio per almeno 8 mesi prima di essere imbottigliato. E anche qui, sia al naso che in bocca, si percepisce. Sentori dolciastri dal frutto o dalla botte? In prevalenza forse la vaniglia e il legno, ma ben modellati. Polpa, succo, che Merlot! Qui è decisamente la genialità di Giorgio Cecchetto che riesce a far esprimere al meglio un territorio di per sé povero ma probabilmente estremamente adatto a questa tipologia di vitigno. Il Sante Rosso rilascia quelle caratteristiche che ti aspetti da un merlot. Di gran beva, abbastanza persistente, ritorna in bocca tutta la frutta percepita al naso. Di grande equilibrio, tannino levigato, ottimo lavoro in cantina. Ancora profumi netti di prugna e di ciliegia con delle belle tonalità vegetali di erbe balsamiche. Ma sono soprattutto i fiori a far da padrone nel bouquet aromatico. Sapido al punto giusto. Merlot classico.
d) Toscana IGT, Girolamo 2000 - Castello di Bossi (40€)
Castello di Bossi, con i suoi oltre 120 ettari vitati, si identifica con Marco Bacci e i suoi figli. Versiamo questo Girolamo nel calice, colore potente, rubino fitto, inchiostro, con un’unghia lucente, brillante. Annata 2000, dodici anni dalla vendemmia, non gli passa nemmeno per la testa di virare verso il granato e spegnersi un po’: eccezionale! Naso inizialmente ispido e caratteriale con note cosmetiche, profondo e quasi austero. Poi si allarga su una bella eleganza di frutta nera, frutta di bosco, confettura e liquirizia. Altri sentori di vaniglia e di legno segnano un olfatto netto, elegante, modaiolo. Cremoso in bocca, ma fresco, ben sorretto da una notevole spalla acida. Equilibrato, intenso, persistente, non finisce più in bocca. Interminabile su tannini finissimi. Di ottima beva. Forse un tantino sciropposo, piacione.
Che altro aggiungere amici lettori? I miei pregiudizi son stati scalfiti ma non crollano. Sia per quanto riguarda il Merlot del Ticino, sia per il Merlot in sé. Lo trovo poco affascinante, non banale ma con una marcata tendenza all’omologazione del gusto. Vini da happy hour, da serata in un locale alla moda milanese, vini da tutto e subito, non nel mio stile. Amo farmi torturare da quel vino che ha bisogno di anni prima di regalarsi completamente, di farsi capire, prima di lasciarsi amare. Ci toccherà puntare davvero sul Pomerol o sul Saint-Èmilion allora? A voi l’ardua sentenza.
Ps.: dal pubblico una cara amica mi ha chiesto se il Sassi Grossi posso abbinarlo a una fiorentina. Ecco, anche in questo caso sono in estrema difficoltà. Il mio non è un “sì” immediato, perché il mio “sì, devi abbinarlo con una fiorentina” lo avrete solo con un Chianti Classico, magari un Castell’in Villa Riserva del 2004 bevuto all’Osteria Le Panzanelle di Lucarelli con la vostra fidanzata. Fatelo, non ve ne pentirete.
Nb: la foto di copertina è stata recuperata da "Google Immagini".
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