L'uomo Pinot capisce le donne, l'uomo Cabernet le conquista


MAYA: Perché ami tanto il Pinot Nero? Sembri veramente fissato.
MILES: Eh, eh! Ah! Non lo so. Non lo so. Ehm... È un'uva ardua da coltivare, e tu lo sai, no? Ha la buccia sottile, è sensibile, matura presto. E, insomma... non è una forza come il Cabernet che riesce a crescere ovunque e fiorisce anche quando è trascurato. No, al Pinot Nero servono cure e attenzioni. Sì, infatti cresce soltanto in certi piccolissimi angoli nascosti del mondo. E... e solo il più paziente e amorevole dei coltivatori può farcela, è così. Solo chi si prende davvero il tempo di comprendere il potenziale del Pinot sa farlo rendere al massimo della sua espressione. E inoltre, andiamo... oh, i suoi aromi sono i più ammalianti e brillanti, eccitanti e sottili e antichi del nostro pianeta. No, diciamolo: il Cabernet sa essere potente ed esaltante ma è troppo prosaico per me, non so spiegarti il motivo.


Amore, fissazione, potenza, prosa, poesia. Non so spiegarvi il motivo, ma il Pinot Nero genera in me le medesime sensazioni ben inquadrate in questa conversazione di due innamorati che si cercano e si respingono (Sideways). Il nome Pinot deriva dalla tipica forma del grappolo di quest'uva, compatto e serrato da ricordare una pigna, quasi un cuore. Certo, lo so, fa sorridere sentire qualcuno, tipo il sottoscritto, che parla di “innamoramento” da Pinot Nero, che parla di amore per un vitigno; si finisce per non esser presi sul serio, per esser classificati o come “inguaribili romantici” o semplicemente come “rimbambiti” ed “esaltati”. Giustamente forse. Come può un uva, infatti, un vitigno, influire su molta gente questo fascino legato a un sentimento chiaro e così difficile da coltivare quale l’amore? È proprio il caso di scomodare, per descrivere una serata tra amici di fronte a quattro vini differenti, questo concetto di così difficile definizione tanto che i greci classici utilizzavano almeno una decina di termini per evidenziarne le sfumature? Bastano pochi nomi per capire perchè “sì, ne vale la pena”: Côte d'Or, Montagne de Reims, e, nel nostro piccolo, Egna. Chi è stato in quei posti, può capirmi immediatamente. Per gli altri: andateci, poi ne riparliamo. E fino a che non avete calpestato il terreno di quei paesini, finchè non avete stretto le mano ruvide di un vignaiolo, finchè non avete sentito l’umiltà dei produttori, fate il piacere di stare zitti, questa storia d’amore merita immenso rispetto.

Basta adulazioni adesso, veniamo al vino. Al Pinot Nero in Italia. Dimentichiamoci per un attimo la Borgogna, la Champagne, ma anche le altre zone d’Europa e del Mondo dove si tenta di addomesticare questa uva: penso a Valais e Neuchâtel, all’Austria nella zona di Burgenland, alla Germania soprattutto nelle aree del Palatinato (Pfalz), Franconia e Ahr. Lasciamo da parte gli Stati Uniti d'America, dall'Oregon alla Russian River e alla Santa Barbara californiana, il Sud Africa della fresca Walker Bay, l’Australia della Victoria, Israele e la Nuova Zelanda delle zone di Marlborough, Martinborough e Central Otago. Qui stiamo parlando di Italia, su tutti l’Alto Adige (Bolzano con Pinzano, Montagna e Mazzon; Cornaiano con Colterenzio e Ronco), a seguire Oltrepò Pavese, Sebino, Piemonte, Toscana, Umbria e poco altro. Pinot Nero che, considerando le denominazioni italiane monovitigino, rientra in circa 30 di esse, tra DOC e DOCG.


Langhe DOC Pinot Nero Bricco Maiolica Loriè 2005: attacchiamo con un Pinot Nero che viene dalla patria di un celebre vitigno. Una sfida? No, per nulla, qui in quest’angolo di Langa niente e nessuno potrà eguagliare il lampia, il michet e il rosè, le tre varietà del Nebbiolo. Ci accostiamo quindi con curiosità e rispetto. All’esame visivo una certa lucentezza coglie l’occhio anche meno esperto, un rubino abbastanza intenso, abbastanza consistente. Mi vien subito da pensare che se non sapessi fosse Pinot Nero non l’avrei individuato già dalla vista. Proviamolo al naso. Anche qui scarsa tipicità, molta frutta, un po’ di legno e speziatura dolce conseguente (20 mesi in piccole botti di rovere). Poco altro. In bocca un certo equilibrio che piace, decisamente una bella beva, appare più sicuro sui sentori fruttati e floreali che si rivelano un po’ meno timidi che all’olfatto. Piacevole, ma è un vino che non è evocativo di un territorio e di una cultura/tradizione enologica; da bersi in compagnia accompagnato da un bell’arrosto, senza pretese di lungo affinamento.


Südtiroler Blauburgunder Mazzon Gottardi 2006: potremmo banalmente ripetere le parole trovate sul web: “vitigno, gusto, bottiglia, etichetta, fascino e reperibilità sanno di Borgogna, il prezzo sa di Italia, il rapporto qualità-prezzo di Alto Adige”. Sintesi perfetta. Siamo di fronte a un cavallo di razza, giovane, robusto, il colore che più mi ha affascinato dei quattro in batteria. Un rubino scarico con chiari riflessi granati. Brilla di luce propria e riflette anche la più piccola delle fonti luminose esistenti in natura e non. Partiamo con il piede giusto. Siamo a Mazzon, minuta frazione di Egna, anche detta “Paradiso del Pinot Nero”. Assolutamente altoatesino in tutto e per tutto, naso sottile ma deciso, affascinante, complesso, tipico. Va capito, non è per tutti, ne sono consapevole. Ma non si può scartare come puzza quello che i francesi, maestri in questo, da secoli valorizzano. Perciò ancora più umiltà, farsi piccoli, la nobiltà obbliga (noblesse oblige) uno sforzo di comprensione. Come ama ripetere un amico produttore in Montalcino: la nobiltà non è comprensibile da tutti, il vino è sempre stato sulle tavole di Re e Papi, sèntiti privilegiato uomo del post-moderno, e abbassa quell’aria da “so-tutto-io”. Ma versiamolo in bocca. L’ingresso è timido e dimesso. Ma come? Dopo un olfatto così elegante? Ci casco sempre, l’adagio del tutto e subito qua va dimenticato. Piccola roteazione nel bicchiere, ecco il segreto: il primo sorso è stato per “avvinare” la mia bocca, buttiamoci sul secondo. Regale. Tannino e calore alcolico perfettamente inseriti nel contesto strutturale di questo gioiello. Equilibrio da manuale. Acidità in bella presenza, sinonimo di grandi potenzialità nel tempo. Ancora, versatemene ancora. Da meditazione? Oserei dire di sì, soprattutto se lo berrete dal 2015 in avanti.


Südtiroler Blauburgunder Barthenau Vigna Sant’Urbano Hofstätter 2004 Magnum: lasciamo parlare il Signor Foradori - Il Pinot Nero é come una febbre, ma una di quelle che non ti molla più. Ti soddisfa solo quando tutto è perfetto. E per ciò questa varietà necessita di tanta passione. Chi crede di poter coltivare e vinificare Pinot Nero solo per hobby, si sbaglia. Il Pinot Nero lo si deve vivere, ci si deve immedesimarsi con esso. La Vigna S. Urbano, il cuore dei nostri vigneti a Mazon, con i suoi ceppi quasi settantenni, emana un’insolita calma. Ma dopo ché le uve sono in cantina, il mosto d’uva inizia a fermentare e poi, quando il vino giovane è pronto per l’assaggio, il Pinot Nero si dimostra con tutti i suoi capricci come spietato sobillatore. E ha bisogno di tempo per calmarsi. Perciò, chi acquista un Barthenau Vigna S. Urbano deve prenderlo da tutte le sue angolature. Deve avere pazienza con lui, coricarlo in cantina, in parole povere perderlo di vista per un po’ -. Siamo di fronte, in termini di armonia complessiva, ad un capolavoro. La bottiglia, una magnum, l’ho aperta 5 ore prima, ed è perfetta. Verso il vino nel calice e in religioso silenzio procedo con la degustazione. Sono avvertibili, semplicemente versandolo, i primi segni dell'evoluzione. Profumi animali, terra, sottobosco, tartufo, ma anche, a seguito dell'ossigenazione e delle prime olfazioni, di confetture, frutta rossa, ciliegia, prugna, tabacco, cuoio, ancora animale, erba tagliata, chiodi di garofano, balsamico. Non mi dilungo, sarebbe un sacrilegio retorico. Tre aggettivi però per fare sintesi: brillante, equilibrato, armonico. Altri tre? Potente, elegante, complesso. Da dimenticare in cantina e provare a scoprirlo fra una decina d’anni. Terrà? Ma certo, qui si va sul sicuro.


Sebino IGT Pinot Nero Casa Caterina Colombaia Giulïie 2000: millecinquecento bottiglie prodotte, un'impresa non facile recuperarlo. Sarò schietto, ammetto di aver avuto difficoltà a posizionarlo dopo il Barthenau nella degustazione; essendo però la prima volta che mi avvicinavo a questo vino, ho seguito le regole dando peso all'annata di vendemmia. Ho sbagliato completamente, credetemi. Sovrastato e schiacciato dal Barthenau, soprattutto in bocca: tremendamente corto, intensità sufficiente. Ma di grande equilibrio e di ottima beva. Alla vista mi si è presentato compatto, con chiari riflessi granati. Al naso sentori tipici, esplosivi, soprattutto quelli animali, di cuoio e di spezia. Poi frutta matura, cassis e sottobosco. Al primo sorso la sorpresa, ma forse è davvero solo colpa mia. Sarà per la prossima, perchè comunque i Franciacorta di Casa Caterina a me hanno sempre fatto impazzire.

Commenti

  1. Gli altoatesini hanno vinto a mani basse. Il gottardi se la sarebbe giocata con il franz haas base. Ora dovrei concentrarmi sulla sua riserva schweizer e su stroblhof. C'è da studiare...

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  2. Sono state più quelle affascinate dai castelli Disneyland del Medoc a caro prezzo piuttosto che quelle che hanno capito il sottile torpore regalato dai sobri edifici rurali della Cote d'or. Me ne sono fatto una ragione e sono ripartito da solo

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