Case Basse

Ho già avuto modo di parlarvi di Brunello, l'occasione era quella di una degustazione di alcune bottiglie con gli amici dell'Associazione Vampiri della Vigna di Como. Stavo per inviare a Luca, carissimo amico e ideatore di questo blog, il racconto di una cena, straordinaria per intensità e intimità, al Ristorante Grillo di Capiago Intimiano in compagnia di Gianfranco Soldera, quando  cinque giorni esatti dopo quella serata, arriva da Montalcino una notizia impensabile.


Inutile riportarvi in questa sede cronaca, dettagli, conclusioni affrettate e pensieri sull'abominio compiuto in terra toscana, sull’insulto perpetrato ai danni di un uomo il cui unico demerito secondo molte persone anche amiche – mi fa sorridere pensarla in questi termini, è un sorriso amaro – è quello di mantenere salda la tradizione bicentenaria ilcinese del Brunello. Con estrema saggezza. Lui, Gianfranco, trevigiano, milanese, trapiantato in quel fazzoletto meraviglioso di terra toscana. Fa male, fa davvero male. Non solo alle persone che amano il vino e Case Basse, ma per ogni persona che abbia a cuore questo dannato mondo che ci sta ospitando: siamo di fronte, e non mi vergogno a scriverlo, allo sfregio di un’opera d’arte. Non un atto vandalico o mafioso ma barbarico, bestiale. Contro il concetto stesso di bellezza e bontà, contro il saper fare italiano. Fa male, molto male. Ci viene incontro il comunicato stampa di oggi della famiglia Soldera: l’unico modo per andare avanti è andare avanti.


Mi piace qui riprendere in mano un suo scritto, datato 2006. Pesate ogni singola parola, vi aiuto con il grasseto: “I temi che mi sono posto sono la qualità (non relativa), il confronto, la diversità, la tipicità, l’unicità e l’identità di questo meraviglioso prodotto che è il vino.  Posso svolgere questi temi da due punti di vista perché dai primi anni ’50 al 1972, sono stato solo un consumatore educato in famiglia a bere e mangiare bene; dal 1972 un viticoltore, dal ’75 produttore di uva e vinificatore con relativo invecchiamento di vini sempre solo da uve provenienti dalle vigne di "Case Basse" ed "Intistieti" di mia proprietà; mi manca pertanto la funzione e l’esperienza del commerciante di uva, di vino, del vinificatore di uve non proprie, dell’imbottigliatore di vini non prodotti e dell’assemblatore di vini. […]Ne consegue: niente forzature - né chimiche né di altro genere - ma grande attenzione alle esigenze di ciascuna vite, cosa che non si può ottenere con le macchine; assoluto divieto di uso di sostanze chimiche che possono entrare nella pianta e nell’uva; continue lavorazioni solo manuali nelle vigne per permettere che le viti siano messe nelle migliori condizioni possibili per portare a maturazione perfetta e sana il frutto; diradamento, sfogliatura, quantità e qualità delle foglie da tenere nelle varie fasi. Tutte queste operazioni - fatte da uomo che sappia e conosca la vite, usi il cervello, gli occhi e poi le mani - sono essenziali per poter parlare di qualità. 



Veniamo ai vini di quella sera, quattro annate, così diverse tra loro, così uniche: 1994, 1995, 1996 e 2006, ultima annata in commercio fino al 2019 quando uscirà, ne sono convinto, la 2013. Armonia, eleganza, finezza, equilibrio, complessità di profumi, tipicità perciò riconoscibilità del micro territorio, unicità, insostituibilità  A inizio serata ho osato domandare, con piglio da arido economista, il significato che veicola il prezzo di un vino, sul perché di alcuni eccessi nel mondo del vino di qualità. Gianfranco mi ha preso da parte e con la sua solita schiettezza mi ha risposto: “Il vino è sempre stato sulla tavola di Re e di Papi”. Da quel momento ho deciso che l’avrei tempestato di domande. “Siamo tutti orfani di Giulio Gambelli”, ecco un’altra risposta fulminante a un mio interrogativo sul vino toscano. “L’uomo deve sempre confrontarsi con tutto il mondo per potersi migliorare”, la risposta più bella a chi lo pensa provinciale e chiuso nel suo pezzettino di terra. Riprendo in mano il libro che mi ha autografato: "..ricordati Stefano che solo la tua sensibilità olfattiva è la verità". Pazzesco.


Serata emozionante, in tutti i sensi. Inutile descrivere questo Brunello nella diversità di queste annate. Posso aggiungere che ho potuto ammirare estasiato la 1995, perfezione assoluta, pronta, con qualche anno ancora davanti sicuramente, ma da godersi ora, con una pernice rossa arrostita nelle castagne. Vino epico, dal naso al gusto, dalla vista all'ascolto della descrizione del suo...papà. Poi la 2006. Potente, con un tannino netto ma elegantissimo, equilibrio certosino, profumi incredibili di confettura, frutti rossi, nobile e di grande lunghezza. Ancora al naso, la violetta, i chiodi di garofano, sentori semplici, antichi, umani. Mi torna alla mente Ratatouille, quel piccolo capolavoro animato visto al cinema qualche tempo fa. Banale forse, ma quel piatto - ratatouille appunto - conteneva una verità semplicissima: non è la complessità che fa la grandezza di un cibo o di un vino, ma la sua semplicità e la dedizione di chi lo fa. Chiudo con le parole più belle e più sagge del maestro di Case Basse, facciamone tesoro, tutti: “l’uomo non deve mai dimenticare che la natura gli è superiore e perciò tutta la sua opera deve essere improntata al rispetto e alla conservazione della situazione naturale”. Buona fortuna Franco, non ti fermeranno, non ci fermeranno.

Commenti

  1. Caro Stefano,
    In questo pezzo si legge e si sente, palpabile, tutto il tuo amore e la dedizione al mondo del vino, quello vero, fatto da uomini veri.
    Bravo, davvero.
    Sono con te, siamo con te e con Gianfranco.
    Livia

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  2. Livia, devo molto anche a te, credimi. Ti ringrazio di cuore. A presto cara Dame!

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